Cinzia Virno, Antonio Mancini
Catalogo ragionato dell’opera, 2 voll: La pittura a olio / Repertori, De Luca Editori d’Arte, Roma 2019.
Il mio interesse per Mancini nasce più di vent’anni fa, quando ebbi modo di apprezzare presso i suoi eredi diretti, a Roma, un corpus consistente di opere.
Ho subito pensato che si trattasse di un pittore geniale con una tecnica straordinaria, fuori della norma: un grande talento che mi affascinava e di cui mi sarei voluta occupare.
La bibliografia su Mancini è immensa e aumenta di giorno in giorno. Conoscerla e padroneggiarla interamente è assai complesso. Mancini compare poi, continuamente, in aste nazionali e internazionali, nonché nelle principali esposizioni riguardanti l’Ottocento. Questo fa capire quanto il suo nome sia noto, soprattutto a collezionisti e addetti ai lavori. Tuttavia, questa sua notorietà non corrisponde ad una conoscenza corretta e completa di tutte le fasi della sua opera.
L’idea di approntare su questo autore un catalogo ragionato non è stata immediata. E’ sorta quando, iniziando a studiarlo più a fondo, mi sono resa conto di questa situazione, di quanto nonostante, appunto, la vastissima bibliografia, le notizie su di lui fossero ancora in buona parte confuse e lacunose, e ciò malgrado l’apporto anche di studi monografici indubbiamente importanti che si sono proposti di sistematizzarne l’attività. Questi, pubblicati nel tempo, sono stati diversi, a partire da quello di Saverio Kambo - uscito nel 1922, quando l’artista era ancora in vita - seguito poi da quelli di Lancellotti (1931), Schettini ( 1941 e 1953), Guzzi ( 1943 ), Guida ( 1952), Biancale ( 1952 ca ) . Quest’ultimo di Mancini pubblicò: Antonio Mancini. La vita, ma aveva abbozzato anche un secondo volume intitolato “L’opera”, mai dato alle stampe[1].
Chi lo studiò a fondo - nel tentativo di pubblicare una sorta di catalogo generale - fu Costanza Lorenzetti, già direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, che aveva conosciuto Mancini di persona. Di questo lavoro esistono nell’archivio del pittore alcuni appunti e qualche scheda sommaria di opere. Tuttavia neppure la studiosa portò a compimento questo progetto che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere piuttosto imponente.
Infine, la monografia di Cecchi del 1966. Quest’ultima è quella che ritengo più attendibile e più utile, supportata com’è da una, limitata ma rilevante documentazione archivistica tratta da fonti originali. Tale monografia, che ripercorre le principali tappe della vita e dell’opera del maestro, si configura certamente come un importante punto di riferimento. Cecchi aveva tracciato i tratti salienti dell’attività manciniana, approfondito poco meno di quaranta opere – alcune delle quali allora inedite - ed era riuscito anche a fornire una parziale ma puntuale ricostruzione dei due soggiorni dell’artista nel Regno Unito; fase, questa, molto significativa della sua carriera artistica, fino ad allora rimasta in un limbo.
Ho pertanto ritenuto importante avviare la realizzazione di un repertorio ragionato ove nel tempo, cominciando dai dipinti, potesse essere compresa tutta la sua produzione.
E’un fatto che, volendo fare una ricognizione generale della sua vita e della sua opera, Mancini è uno degli artisti più problematici del nostro Ottocento. Tutto nasce dalla sua caotica esistenza, dal suo carattere schivo e timidissimo, che lo ha reso incapace di occuparsi della sua produzione e dei suoi affari. Questo ha fatto sì che - passando attraverso mecenati come il belga Cahen, l’olandese Mesdag, il francese Du Chéne - oltre a un numero incalcolabile di amici italiani e stranieri, conoscenti, artisti, colorai - le sue opere finissero in ogni parte del mondo e rimanessero perlopiù sconosciute agli studiosi. L’apprezzamento della sua arte sin dagli anni giovanili ha dato inoltre vita ad una ‘fabbrica’ di falsi di notevoli proporzioni, molti dei quali nel tempo sono stati venduti, pubblicati, acquisiti da privati ed enti pubblici.
Diversi malintesi sono stati poi generati dall’errata lettura di alcuni suoi scritti che hanno portato ad una comprensione fuorviata dei soggetti di alcune opere e dei nomi dei loro acquirenti. Molti di questi errori, da uno studioso all’altro, si sono ‘consolidati’ nel tempo come notizie certe.
Capivo che affrontare un catalogo ragionato di questo pittore mi avrebbe richiesto un impegno, e uno sforzo notevoli e, soprattutto, tanto tempo. Tuttavia il tentativo di rivedere questa caotica situazione, l’ho personalmente vissuto con un senso di giustizia. ‘Fare un po’ di ordine’, almeno tentare, mi sembrava un atto dovuto per un artista di quella sensibilità, tanto noto e apprezzato dal mercato, dalla critica e dal pubblico.
Non sarebbe stato tuttavia pensabile portare a compimento un lavoro di questo tipo se non avessi avuto a disposizione la vastissima quantità di documenti d’archivio e di immagini che, perlopiù gli eredi del pittore - ai quali va tutta la mia gratitudine - mi hanno generosamente offerto[2].
Altri importanti documenti, soprattutto lettere e appunti autografi, mi sono stati cortesemente forniti dall’erede di Giuseppe (Peppino) Giosi, corniciaio, venditore di materiali artistici ma anche factotum e prezioso collaboratore di Mancini negli anni romani.
Questo ricco materiale consiste in lettere autografe, diari e appunti vari dell’artista; lettere a lui indirizzate dai principali personaggi legati alla sua esistenza ( Cahen, Mesdag, Goupil, ecc.) o da figure meno note al pubblico, richieste di partecipazioni a mostre e manifestazioni da parte di enti pubblici e privati, fatture di colorai, trattorie, negozi, appunti di nipoti e parenti con commenti sui quadri, corrispondenza tra questi con antiquari o galleristi per l’acquisto di quadri; foto d’epoca della maggior parte delle sue opere, ma anche di mostre e situazioni di vita. Vi si trovano anche i famosi ‘Ricordi autobiografici dettati al nipote Alfredo dal 1925 al 1930”, più volte richiamati in vecchi testi sul pittore[3].
Si tratta di una documentazione, originariamente non sistematizzata né ordinata, che si è rivelata comunque indispensabile[4]. Da questo materiale, a volte davvero arduo da ‘decifrare’ soprattutto per quanto riguarda i documenti autografi - Mancini scrive in maniera assolutamente sgrammaticata e con una calligrafia veramente difficile da interpretare[5] - con molta attenzione e pazienza, è stato possibile trarre fondamentali informazioni sulla vita e sull’opera del maestro.
Tale archivio, in mio possesso, nel tempo, si è enormemente arricchito con l’aggiunta di altre immagini, testi e documenti, acquisiti attraverso ricerche bibliografiche o tramite collezionisti privati, musei, istituzioni.
Molte notizie infondate circolavano da sempre sul conto del pittore, a partire dalla sua nascita ad Albano Laziale e non a Roma come in effetti avvenne. Scambi di opere, scambi di epoche, errori di datazione sono stati riscontrati in grande quantità.
Va detto che specialmente la datazione nelle opere di Mancini risulta particolarmente complessa. La sua pittura, infatti, in continua fase di sperimentazione, spesso ritorna su temi, tecniche e modi già affrontati. Anche le date segnate dal pittore, per via dell’assai complicata grafia, si prestano a varie letture e sono state spesso male interpretate. Per non parlare poi delle opere da lui stesso antedatate anni dopo la loro effettiva esecuzione, per le più varie ragioni[6] o, ancor peggio, datate da altri.
La cronologia dei dipinti, soprattutto del primo periodo, in questo catalogo è stata infatti molto rivista. Mi sono resa conto che molte datazioni, riferite da buona parte della bibliografia, erano errate. Anche pezzi datati erano stati a volte attribuiti a periodi diversi.
Solo mettendo insieme tutte le opere di cui possedevo l’immagine, verificando, oltre allo stile e ai soggetti, anche l’età dei modelli utilizzati - che ovviamente cambiava nel tempo[7] - è stato possibile inquadrare più precisamente la produzione del pittore.
Grandi difficoltà ha comportato il riconoscimento di numerosi dipinti i cui cataloghi espositivi non riportavano l’immagine. Era infatti prassi, già quando l’artista era in vita, che uno stesso quadro, venisse citato con titoli diversi. Molte opere si sono potute riconoscere solo grazie a un attento e accurato incrocio di dati fra pubblicazioni e documenti d’archivio.
Il presente catalogo sulla pittura ad olio dell’artista, consta di oltre 1000 pezzi di comprovata autografia. Nel caso risultino uno o più falsi di un’opera autografa, questo è stato indicato nella relativa scheda.
Il catalogo comprende, con foto, tutti i dipinti direttamente visionati e quelli al momento non rinvenuti, ma di cui esiste documentazione nell’archivio del pittore. Ho scelto poi di inserire– ovviamente senza immagine – anche tutte le opere descritte nell’archivio medesimo, ma non rinvenute o che non è stato possibile riconoscere attraverso gli elementi a disposizione.
La successione scelta è quella cronologica che ho ritenuto fondamentale anche per poter meglio comprendere i cambiamenti stilistici e l’evoluzione pittorica dell’artista. Questo mi ha portato ad apprezzare appieno tutte le fasi della sua pittura compresa quella tarda, alla quale, rispetto al primo periodo, la critica e il mercato ancora riservano - a mio avviso ingiustamente - un interesse limitato.
Come, e più del previsto, si è trattato di un lavoro lungo, durato molti anni.
Frutto dell’impegno che ho descritto è uno strumento che auspico possa essere utile agli studiosi e a tutti gli amanti del pittore. Un lavoro da lasciare necessariamente ‘aperto’ ad ulteriori revisioni, approfondimenti e aggiornamenti che potranno intervenire nel tempo.
Cinzia Virno.
Prefazione al volume I: Antonio Mancini / Catalogo ragionato dell’opera / La pittura a olio, Roma, De Luca Editori d’Arte 2019.
[1] Una copia dattiloscritta è in mio possesso.
[2] Una minima parte di questi documenti era stata visionata dagli autori sopracitati e poi fatta oggetto di una interessante tesi di laurea da parte di Emanuela Santoro nel 1977.
[3] I ricordi del pittore, dettati dal nipote Alfredo dal 1925 al 1930, contengono piccole inesattezze cronologiche verificate e ‘sanate’ dal confronto con le lettere e gli altri documenti esistenti.
[4] L’archivio è stato da me parzialmente ordinato grazie all’aiuto di Giulia Perin ed Eleonora Renucci
[5] Se ne lamentavano ampiamente già i destinatari delle sue lettere.
[6] E’ capitato, anche spesso, che Mancini non abbia firmato e datato i suoi dipinti dopo averli terminati. Chi si trovava ad averne uno gli portava l’opera perché rimediasse a questa mancanza anche parecchio dopo la sua realizzazione. Poteva accadere che l’artista non ricordasse l’anno di esecuzione di un pezzo e lo sbagliasse, oppure che gli venisse ‘suggerito’ dallo stesso proprietario.
[7] In molti casi infatti Mancini usava gli stessi modelli anche per periodi molto lunghi
Per l’archiviazione delle opere:
Eleonora Renucci
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Responsabile di segreteria dell’Archivio Mancini
presso la Galleria Russo
Via Alibert 20 - Roma
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